Il tempo vola e in viaggio corre. Per noi che oltre ad essere viaggiatori slow lavoriamo nel cammino più di 30 ore alla settimana, il tempo rimane la più grande fregatura. Abbiamo il vantaggio, per il momento ancora, di percorrere un continente in cui, a parte i limiti migratori per Humberto come venezuelano, possiamo rinnovare la nostra permanenza per 6 mesi e in alcuni casi anche più e, a volte, neanche questi bastano. Non ci piaccioni i mordi e fuggi, abbiamo bisogno di connessione e la connessione ha bisogno di tempo. Un gatto che si morde la coda.
L’oriente venezuelano è stata la nostra connessione più profonda con Venezuela. Lasciamo qui una parte di cuore e molte emozioni.
Alcune straordinarie, altre meno.
Venezuela non è solo il paese dal turismo costoso del Salto Angel, del Roraima o de Los Roques. C’è una parte meno conosciuta del Venezuela, la parte più umile, intima, dove l’unica che ha il diritto di ostentare è la natura e, francamente, se lo può anche permettere.
Ciao, siamo Selene e Humberto, viaggiatori in van incalliti da più di 8 anni.
Viaggiamo in un piccolo van in Sud America e questa nota di viaggio l’ho iniziata a scrivere in Boca de Uchire, un istmo con accanto una laguna popolata da fenicotteri e l’ho terminato in Valencia, in casa della mamma di Humberto a poche ore da riaccendere i motori e riprendere il cammino che ci porterà dritti alla frontera con Colombia.
Raggiungiamo la costa orientale del Venezuela dopo aver attraversato la Gran Sabana e scalato il Roraima e dopo aver conosciuto Rafael, un signore che vive solo da più di 5 anni dopo che i suoi figli hanno abbandonato il paese per raggiungere gli Stati Uniti e da lì, dopo aver avviato la richiesta di rifugio politico, non sono più potuti tornare.
Rafael era sul punto di lasciarsi andare per sempre, ci racconta ora la signora che potremmo definire come la sua “badante”.
Quando i figli hanno richiesto la sua presenza, lei, non aveva idea di cosa l’aspettasse. Rafael non esisteva quasi più, di lui rimanevano ossa, un corpo quasi invisibile e uno sguardo completamente perso. C’è voluto di nuovo il tempo, lo scorrere dei giorni e delle settimane, insieme a una dose di pazienza e dedizione, per farlo recuperare e per riportarlo alla vita.
E di vita Rafael ne ha eccome.
Proprietario di terre agricole, instancabile lavoratore, 15 anni fa, fu costretto, insieme alla sua famiglia ad abbandonare tutto ciò che possedeva dopo che i militari invasero la sua terra, quella che coltivava, in cui allevava animali, la terra che lo alimentava.
Gli avvoltoi avevano messo l’occhio su alcune delle miniere di oro che fanno di questa parte del Venezuela una terra al bando, senza leggi e, il terreno di Rafael, così come molti altri, era una delle pepite pregiate che non potevano lasciarsi scappare.
Così la vita di Rafael, nel giro di poche ore, è cambiata. Un avviso chiaro, senza mezzi termini “abbandona la terra per tua volontà o con la forza, a te la scelta”.
Ma quale scelta?
Un’ingiustizia che emerge nei suoi occhi stanchi, nelle sue rughe accentuate e che la sua memoria, seppur vacillante ,non gli permette di dimenticare.
E chi riuscirebbe?
Oggi Rafael accoglie viaggiatori come noi, di passaggio, mostrandosi testimone ferito e memoria di eventi e azioni illegali per parte del governo, senza paura ma con una voce che a tratti si ferma, balbetta e si rompe ma che non smette di sperare che, un giorno non troppo lontano, Venezuela possa uscire da questa oscurità, da questa peste e che lui, possa avere ancora il tempo di riabbracciare i suoi figli.
Salutiamo Rafael custodendo la memoria che ha voluto trasmetterci e che ci sembra giusto raccontare a nostra volta per gridare e ricordare che, anche se ripetutamente e violentemente silenziata, Venezuela e la sua gente non hanno mai smesso di lottare.
Che la vita ti sia più lieve e il futuro più roseo, querida Venezuela.
Speriamo presto di poterti rivivere.
Version Española
El tiempo vuela y en la carretera corre.
Para los que, además de ser viajeros lentos, trabajamos más de 30 horas semanales en la carretera, el tiempo sigue siendo la mayor pega. Tenemos la ventaja, de momento todavía, de viajar por un continente en el que, aparte de los límites migratorios para Humberto como venezolano, podemos renovar nuestra estancia por 6 meses y en algunos casos incluso más, y a veces ni eso es suficiente. No nos gusta morder y correr, necesitamos conexión y la conexión lleva tiempo. Un gato mordiéndose la cola.
El Oriente venezolano ha sido nuestra conexión más profunda con Venezuela. Dejamos aquí una parte de nuestro corazón y muchas emociones.
Algunas extraordinarias, otras no tanto.
Venezuela no es sólo el país del turismo caro de Salto Ángel, Roraima o Los Roques. Hay una parte menos conocida de Venezuela, la más humilde, la íntima, donde la única que tiene derecho a lucirse es la naturaleza y, francamente, hasta puede permitírselo.
Llegamos a la costa este de Venezuela tras cruzar la Gran Sabana y subir el Roraima, y después de conocer a Rafael, un señor que lleva más de cinco años viviendo solo después de que sus hijos se marcharan del país a Estados Unidos y de allí, tras iniciar el proceso de refugio político, nunca pudieran regresar.
Rafael estuvo a punto de irse definitivamente, nos cuenta ahora la que podría calificarse como su «cuidadora». C
Cuando sus hijos solicitaron su presencia, no tenía ni idea de lo que le esperaba. Rafael ya casi no existía, sólo quedaba de él un cuerpo casi invisible y una mirada completamente perdida. De nuevo hizo falta tiempo, el paso de los días y las semanas, junto con una dosis de paciencia y dedicación, para devolverle a la vida.
Y a Rafael le sobra vida.
Propietario de tierras agrícolas, trabajador incansable, hace 15 años, él y su familia se vieron obligados a abandonar todo lo que poseían después de que los militares invadieran su tierra, la tierra que cultivaba, la tierra donde criaba animales, la tierra que le daba sustento.
Los buitres habían echado el ojo a algunas de las minas de oro que hacen de esta parte de Venezuela una tierra proscrita y sin ley, y la tierra de Rafael, al igual que muchas otras, era uno de los preciados recursos que no podían dejar escapar.
Así, la vida de Rafael, en cuestión de horas, cambió. Una advertencia clara y contundente: «abandona la tierra por tu propia voluntad o por la fuerza». Una injusticia que aflora en sus ojos cansados, en sus arrugas acentuadas, y que su memoria, aunque vacilante, no le permite olvidar. ¿Y quién podría hacerlo?
Hoy, Rafael recibe a viajeros como nosotros, de paso, mostrándose como testigo herido y memoria de hechos y acciones ilegales por parte del gobierno, sin miedo pero con una voz que a veces se detiene, tartamudea y se quiebra pero que no deja de esperar que, un día no muy lejano, Venezuela pueda salir de esta oscuridad, de esta golpiza y que él aún tenga tiempo de volver a abrazar a sus hijos.
Despedimos a Rafael atesorando el recuerdo que él quiso transmitirnos y que sentimos justo contar para no dejar de gritar y recordar que aunque silenciada, Venezuela y su pueblo nunca han dejado de luchar.